La pagina
dei ricordi
In questo
spazio pubblicheremo le notizie e i documenti storici sulla vita
quotidiana di "Consonno antico borgo". Iniziamo con alcune
fiabe legate a Consonno (di Massimo Pirovano) e una ricerca sulla slitta
di Consonno (di Mario Pirola).
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Le fiabe
sugli abitanti di Consonno
Sono state
tramandate fino ai nostri giorni diverse fiabe sugli abitanti di
Consonno, che a dire la verità ci mostrano dei personaggi abbastanza ingenui, visti forse
così dagli abitanti degli altri paesi a causa del fatto che abitassero
in una località isolata come Consonno. Una fiaba sui Consonnesi,
purtroppo non raccolta nella sua versione completa come le due che
pubblichiamo invece qui sotto, racconta che costoro in occasione di una
particolare cerimonia, si resero conto che non ci sarebbero mai stati
tutti nella piccola chiesa di San Maurizio: la fiaba racconta che per
ovviare a questo inconveniente i consonnesi pensarono bene di ungere le
pareti della chiesa con del burro, così da farci stare più gente che
sarebbe scivolata meglio contro le pareti per entrare nella calca che si
affollava in chiesa. Le due fiabe invece che pubblichiamo qui sotto,
nella loro doppia versione in italiano ed in dialetto, sono state
raccolte da Massimo Pirovano il 7 febbraio 1988 e sono state pubblicate
sul suo libro "Fiabe e storie raccolte in Brianza", pubblicato da
Cattaneo Editore di Oggiono nel 1991. Ecco qui le fiabe.
FIABA 1 /
LE CASTAGNE DI CONSONNO
FIABA 2 /
L'ASINO SUL CAMPANILE
La
slitta (ul traén) di Consonno
Quello che
riportiamo è un commovente ricordo di un abitante di Consonno Antico
Borgo che ha ricostruito un metodo di trasporto agricolo utilizzato
a Consonno. Il ricordo è del dottor Mario Pirola, oggi residente ad
Airuno, ed è tratto dal quaderno di etnografia "Oggetti, segni,
contesti", curato dal professor Massimo Pirovano e pubblicato dal
Museo Etnografico
dell'Alta Brianza nel 2004. Prima del racconto pubblichiamo due righe di
presentazione del Dottor Pirola, una sorta di commovente autoritratto
legato al Consonno che non c'è più:
"sono nato a Consonno nel 1927 - scrive il Dottor Pirola -
dove sempre tornavo, dopo il trasferimento della mia famiglia a Valmadrera, per le vacanze scolastiche e poi anche da più adulto, fino a
tutti gli anni della guerra. In quei mesi estivi ho fatto il mio
apprendistato contadino (ed anche qualcosa di più) aiutando nei lavori
dei campi uno zio, rimasto solo dopo la morte al fronte di due suoi
fratelli. Ebbene, quel paese non esiste più, perché negli anni Sessanta
è stato raso al suolo da uno sconsiderato neo-proprietario dei terreni e
dei fabbricati, nella colpevole connivenza delle autorità locali. Tutto,
anche i terrazzamenti, sono stati spianati dalle ruspe e di quell’insediamento
millenario sono rimasti soltanto la chiesa ed il cimitero. Per me,
dunque, dedicarmi alla ricerca degli attrezzi del mondo agricolo o
affrontare un argomento così pregnante della vita quotidiana dei
contadini come quello dell’uso del traén è anche un modo per far
rivivere il ricordo della Consonno che io e la mia generazione abbiamo
conosciuto".
Un antico
cortile di Consonno con una gabbia sul traén
Ul
traén a Consonno (di Mario Pirola)
Sono da anni cultore e
all’occasione raccoglitore di arnesi da lavoro, funzionali nella
cosiddetta ‘civiltà contadina’ ed oggi non più utilizzati. Il mio
interesse è anche dovuto al fatto che vedo spesso, in essi, realizzati
accorgimenti tecnico-pratici di notevole contenuto intuitivo. Mi accingo
a presentare un lavoro-ricerca che ha come riferimento il paese di
Consonno (prima che venisse volgarmente spianato dalla ruspe) e che
riguarda ul traén, cioè un prodotto della manualità del
consumatore diretto (contadino) che, di certo, non veniva realizzato in
laboratorio, salvo alcuni pezzi da assemblaggio in ferro (chiodi, ganci,
anelli) che sono opera del fabbro ma pur sempre maneggiati con
consapevole opportunità dal contadino stesso. Questo prodotto consiste
in un mezzo di trasporto chiamato ‘traìno’ (traén nel nostro
dialetto). E’ la slitta, ma non del tipo semplice costituito da due sci
collegati da qualche traversina; quello di cui parlo è un mezzo molto
più organizzato in ogni sua parte, atto a durare nel tempo e adattabile
a svariati utilizzi. Ul traén, costruito direttamente dai
contadini, era frutto di lavoro interamente manuale realizzato con
strumenti comuni presso ogni famiglia contadina: ascia, falciotto, sega,
trapano a mano e succhiello. A Consonno, ricordo due versioni di questo
veicolo: la prima atta al tiro di un solo animale (il bue nel nostro
caso) e la seconda con tiro a coppia di buoi; quest’ultima poteva avere
il piano di carico un paio di spanne più lungo della prima, ma le
dimensioni dei due tipi erano sostanzialmente uguali. Nella versione ad
un solo bue, questi era aggiogato mediante due stanghe, come nei comuni
carretti. La versione a coppia di buoi, che è quella che qui presento,
dispone di un timone centrale che veniva posto tra i due animali ed alla
cui parte anteriore essi erano aggiogati; nella parte posteriore il
timone era invece agganciato al corpo di carico. I timoni del traén,
a differenza di quelli dei carri a quattro ruote, non disponevano dei
meccanismi che consentivano di ruotare per superare le curve delle
strade. A questa esigenza il contadino sopperiva con un sistema che,
seppur più limitato nella funzionalità, consentiva di risolvere il
problema. Nella parte posteriore del timone, venivano imperniate due
sbac (stecche di legno) che andavano a raggiungere, formando un
triangolo, la parte anteriore delle frode (gli ‘sci’) della
slitta medesima. Il traino ha, sopra la fröda, due gambe
(travi messe longitudinalmente) sulle quali sono fissate le traversine
che formano la ‘griglia’ su cui poggia il carico. Ebbene, la testata
delle gambe veniva forata e nei fori si faceva passare una
strópa (pollone di castagno senza corteccia e ritorto su se stesso)
. La strópa aveva caratteristiche di elasticità tali da
consentire di legare gli sbac alle gambe mantenendo un
margine di movimento sufficiente a consentire al traén di
affrontare le curve. Questo mezzo di trasporto era utilizzato nei
paesini delle colline brianzole dove i vari nuclei abitati erano uniti
tra loro ed ai loro campi da strade sterrate o acciottolate, ragion per
cui il traino dava prestazioni più comode ed efficienti che non quelle
del carro. Interessante è anche analizzare il tipo di legname scelto per
i vari pezzi del veicolo sottolineando che, secondo i miei informatori,
per alcune parti la scelta era tassativa. Ad esempio i biröö che
fissavano la fröda alla gamba erano di legno di maì
(liburnum – maggiociondolo) che, oltre ad essere robusto era dotato
di buona elasticità per reggere le sollecitazioni degli avvii a pieno
carico. Anche la strópa doveva essere assolutamente di castagno e
se, al momento del bisogno, non si aveva sottomano quel legno, la si
rimpiazzava appena possibile. La fröda doveva essere di carpine
o di frassino, la gamba di olmo, i pientån (piantane)
issate nelle gambe per contenere il carico potevano essere di
olmo o di castagno e sempre l’olmo era preferito per le traverse
che formavano il piano di carico, per gli sbac di cui abbiamo
detto sopra e per i due assali che servivano a tenere parallele le
gambe. Interessante è anche descrivere le diverse ‘versioni’ che
poteva assumere ul traén, a seconda di quel che doveva essere
trasportato. Nel caso di oggetti lunghi come pali, legname vario,
fascine, il veicolo veniva usato cosi com’era, con il piano di carico
formato soltanto dalle traverse; sui fianchi, comunque, venivano
infilati i pientån (tre per lato) al fine di contenere i carichi.
Se occorreva caricare roba fine o sciolta (erba, prodotti dell’orto…)
veniva stesa sul piano di carico una gréef, cioè un intreccio di
piccoli bastoni e di frasche di castagno o di sanguinella. Questa sorta
di stuoia era della dimensione del piano di carico e con il tempo
diventava rigida. Se invece in autunno si raccoglievano le foglie delle
selve dei castagni, sul traén veniva montato un gabbione di forma
ellittica alto circa due metri e mezzo e fatto con legno di pioppo (se
poteva essere custodito al coperto) o di castagno (se doveva restare
alle intemperie). Così dotato, il traino veniva posteggiato al limite
inferiore dei pendii e le foglie venivano raccolte facilmente nel
gabbione, caricandole dall’alto con i forconi. Per trasportare il letame
dalla stalla ai campi, oltre a stendere la gréef, il contadino
applicava, sul lato anteriore e sulle fiancate, i bèn delle
specie di transenne, atte a trattenere il carico; sul traino, nella
versione ‘semplice’ veniva collocata anche la nevascia, specie di
bonza in legno della lunghezza di due metri circa e dotata di coperchio
a tenuta stagna, che veniva riempita del liquame del pozzo nero con cui
si concimavano i terreni. Un traén più curato degli altri
stazionava normalmente nel cortile dell’abitazione del parroco.
Debitamente addobbato e completato con un seggiolone, veniva usato per
portare in paese il vescovo in occasione delle visite pastorali. In
questo caso anche i buoi venivano ‘vestiti a festa’, con le corna
incappucciate ed una coperta, la stoéra, stesa sulla schiena.
Questo stesso traén un po’ speciale, quando si era in prossimità
di un parto veniva utilizzato per trasportare in paese la levatrice.
Come ho sopra accennato, il traino era normalmente utilizzato in tutti i
paesi della collina brianzola e quindi rappresentava, secondo chi
scrive, il principale veicolo da trasporto a disposizione dei nostri
contadini. In questa descrizione mi sono attenuto però alla realtà di
Consonno sia perché la mia esperienza diretta in materia l’ho fatta là,
sia perché ho ragione di credere che Consonno avesse una caratteristica
unica: ritengo, infatti, che sia l’unico paese in zona dove per il
trasporto venivano usati solamente i buoi in quanto non erano presenti
né cavalli, né asini, né muli.
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